La Serpe D’Oro – “Il pane e la sassata (l’amore…è come l’ellera?)”

Chi è convinto che la genuina veracità sia un’esclusiva espressiva riconoscibile solo a Napoli… beh, si dovrà ricredere poiché dentro al progetto senese de La Serpe d’Oro ce n’è altrettanta, se non addirittura di più in alcuni frangenti. Si, perché il combo toscano vuole “ri-educare” alcuni brani della natia tradizione popolare inclusi nel secondo album “Il pane e la sassata (l’amore…è come l’ellera?)” per svilupparli con criterio credibile e convincente, non con spirito rurale ma con un’ottica verace, leale e (perché no?) in una sorta di remixaggio culturale che possa dare senso e concretezza rielaborativa. E’ una scorpacciata folk che oltrepassa l’ora abbondante d’ascolto che, di questi tempi, può apparire eccessivo ma, la loro controtendenza, si evidenzia anche in questo: “tradire per rimaner fedeli” come tramanda certa filosofia. Un collettivo che nasce in quartetto per poi estendersi con nuovi innesti di formazione e collaborazioni. Ecco che le presenze di Pamela Larese, Claudio Riggio e Stefano Giannotti sono pilastri necessari per dare saldezza all’insieme, creato da Igor Vazzaz e soci, SENZA DIMENTICARE LA COMPIANTA CATERINA BUENO, FONTE DI ISPIRAZIONE E SEMPRE PRESENTE NEI LORO RICORDI. L’altra idea di base è quella di performare il teatro-canzone, non riservato solo a nicchie amabili ma farlo fluire a platee più vaste per notificarne il gran valore emozionale ed ideologico. Certo, nell’era del pragmatismo e con la frenesia delle lancette, appare impresa titanica fermarsi ad analizzare e a ponderare i contenuti ma la caparbietà de La Serpe d’Oro farà si che qualcosa, senz’altro, smuoverà e qualcuno (ne sono convinto) ringrazierà per il recupero culturale che ne deriva. Il ventaglio propositivo è sdoganato in vari aspetti stilistici e letterari: ci sono episodi spillati da Johnny Cash (“Folsom prison blues”) che diventa “Marassi blues” o la decameronesca “Amor, la valga luce”, nata (come nel 1348) in similare lockdown (all’epoca per la peste) ed accomunati dal trait-d’union dolorifico. Invece, dalla genialità di Jannacci, rileggono la vibratile quanto mai sottovalutata “Sfiorisci bel fiore” ma, sia loro che De Gregori, non l’hanno mai dimenticata, regalandosi continue emozioni che trasmette l’ineffabilità del brano, aperto ad ampie interpretazioni. Da incalliti toscanacci, la band non tradisce il detto popolare di avere anche loro “il cielo negli occhi e l’inferno in bocca”, saltellando dal folk al blues alla pura canzone d’autore, sbocciando con intenti acustici ed elettronici dal forte sapore etno-popolare. Insomma, “Il pane e la sassata” non è solo un gioco di contrasti, una ludica sfida tra antipodi concettuali ma è un guru ideologico di forza, fatica, lavoro, dedizione, coerenza e amore per le tradizioni, nel quale i 18 pezzi in carnet, scalpitavano non poco per ri-nascere sotto nuova luce. Di conseguenza, la Serpe d’Oro sapeva bene che, rinunciando a scrutare il repertorio del passato, si sarebbe preclusa la grande chance d’interrogarsi sul futuro.

MAX CASALI

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